domenica 18 novembre 2018


Fanfiction su Detective Conan

Memorie

Erano passate le otto di sera e il rosso del tramonto aveva cominciato a ombreggiare sul mare visto da un molo lunghissimo, benché privo di turisti. Conan cercava gli ultimi indizi che lo avrebbero portato alla scoperta di un omicida seriale, mentre Ai si era allontanata dalla scena del delitto per ammirare il panorama rosso da vicino. Più vicino che poteva.

Casualmente quel molo assomigliava ad un altro che la scienziata ricordava di aver attraversato con sua sorella, una sera molto buia. Erano passati tre anni, ma, nonostante tutto, sentiva ancora chiara la voce di Akemi. Quel giorno, dopo un’intera giornata trascorsa insieme, sua sorella le fece una strana domanda: - Che cosa faresti se io non ci fossi più? –

Shiho si era soffermata ad osservare lo sguardo triste di sua sorella – Perché mi fai questa domanda di punto in bianco? Se me lo stai chiedendo perché sei in pericolo, dimmelo chiaramente. Se lo dici perché hai paura che possano farti qualcosa, stai tranquilla. Sto pensando a cosa escogitare per farci uscire da questa organizzazione e forse mi ci vorrà un po’ di tempo, ma di sicuro troverò una soluzione. Non voglio che pensi a cose del genere. –

- Non è per nessuna delle due ragioni che hai detto. Ad essere sincera, ci penso ogni giorno e non hai risposto alla mia domanda. Ho bisogno che tu risponda. Sinceramente, Shiho. –

Akemi era stufa di vedere saltuariamente sua sorella e di sapere che la stavano sfruttando per scopi malvagi solo a vantaggio di quegli uomini dalla veste scura e dall’aspetto minaccioso. Non ne poteva più di sentire Shiho solo per telefono e sapere che era impegnata a lavorare tutti i giorni poiché era un prodigio da strumentalizzare a proprio piacimento. E questo andava avanti da quando la sua sorellina aveva quattordici anni. Akemi si sentiva inutile ed era solo un peso per Shiho. Avrebbe voluto fare di più. Avrebbe voluto che sua sorella avesse avuto un’infanzia normale e un’adolescenza come tutti i suoi coetanei, ha visto crescere Shiho prematuramente e non soltanto per il suo genio, ma anche per le scelte che aveva dovuto affrontare. Non le sembrava giusto essere felice e spensierata, mentre sua sorella correva pericoli o mentre veniva tormentata psicologicamente da quella spietata organizzazione. Eppure, Akemi sapeva bene di non avere né le risorse né il potere per aiutare Shiho, ma si sentiva colpevole e ogni volta, soprattutto nelle giornate in cui era sola a riflettere, ripensava al dolore immenso che aveva provato nel momento in cui aveva perso sua sorella. Quando le era stata sottratta Shiho dalle sue braccia e mandata lontano, all’estero, per studio. Non poteva essere felice se non lo era anche Shiho. Perciò si domandava spesso come starebbe Shiho senza di lei, se malauguratamente dovesse scomparire. Shiho reggerebbe il colpo? Si domandava all’infinito Akemi. Voleva conoscere i sentimenti di sua sorella, quelli più profondi, quelli che non si degnerebbe mai di pronunciare davanti a lei per non farla soffrire, ma non sarebbe cambiato molto. Lei stava già soffrendo.

Una macchina scura aspettava che la scienziata salisse in auto, quindi Shiho non aveva molto tempo per indugiare troppo sulla risposta. Inoltre le sembrava ingiusto lasciare la conversazione in sospeso e nessuna delle due aveva mai lasciato volontariamente un discorso in sospeso.

La rossa abbassò di poco lo sguardo – Mi ricordo perfettamente il giorno in cui decisi di collaborare con l’organizzazione. Lo feci per te, per tenerti al sicuro. Perché sei la mia unica famiglia che mi è rimasta e sei l’unica che mi ama, perciò se tu non ci fossi non avrebbe senso per me questa vita. Mi impegno ogni giorno per restare viva e per tenere in vita te, soprattutto, non ho altro a cui pensare onestamente. La verità è che non posso risponderti. Non saprei che dirti, forse, se succedesse, desidererei di sparire anch’io. –

Il suono di un clacson molto deciso ridestò la mente della scienziata e solo allora Akemi si accorse della vettura scura, coi fari spenti, alle sue spalle. Le luci dei lampioni bastavano a mettere in luce l’auto.

- Ti stanno aspettando, eh? Sempre puntuali, loro. – disse la sorella maggiore sdrammatizzando un po’, con gli occhi lucidi e ben visibili da Shiho che non aveva colto l’ironia in quel momento, poi strinse sua sorella in un forte abbraccio, prima di lasciarla andare, accompagnato da poche parole – Scusa per aver rovinato una delle poche volte che ci incontriamo, ma dovevo avere quella risposta. –

Senza voltarsi indietro neanche una volta, Akemi si rifugiò nella sua auto impedendo alla scienziata di vedere il suo viso colmo di lacrime, a causa del buio e della lontananza che ormai le separava. Shiho sapeva bene che sua sorella stava piangendo, perché era ciò che avrebbe fatto anche lei non appena fosse tornata nel suo silenzioso e vuoto laboratorio.

Fu una delle rarissime volte che Ai aveva visto Akemi così seria e distrutta da un dolore che poteva provare solo lei, invisibile, ma percettibile nei suoi occhi. Solitamente si mostrava allegra e non mancava mai di fare battute o raccontare storie buffe. Per Shiho, sua sorella era la sua ispirazione, la sua famiglia, l’amore puro e solo quando se n’era andata per sempre aveva visto il suo mondo crollare improvvisamente, andare in pezzi. La sua bussola si era rotta e non sapeva dove andare, ma nemmeno cosa fare poiché non aveva altre certezze a parte Akemi. Non aveva più nessuno; specialmente quando la solitudine aveva cominciato a farle paura e l’unico nome che ricordava era solo quello di uno sconosciuto: Shinichi Kudo, la sua prima cavia umana. Forse era stata proprio sua sorella a darle la forza di continuare a vivere, di trovare un’altra ragione per sopravvivere ancora e l’aveva trovata: far tornare Shinichi Kudo adulto. Solo lei poteva farlo, dopotutto.

Non era passato un giorno in cui non pensasse a sua sorella, al fatto che avrebbe potuto salvarla se fosse stata lì con lei al momento della sua morte e a rimuginare sulle ultime parole che aveva sentito pronunciare da Akemi, prima di non rivederla mai più, “Trovati un fidanzato” così frivole, ma così tipiche della sua personalità che a volte, nel pensarci, le strappavano inconsciamente un sorriso. Aveva avuto proprio un angelo come sorella. Il suo angelo personale che ancora la vegliava da lassù.

Ai era ancora ferma su quel molo e uno dei pochi frammenti di ricordo che aveva della sua infanzia le passarono davanti come un film immortalato nel tempo e ancora una volta c’era Akemi con lei bambina, sullo sfondo di un bellissimo rossastro tramonto. Quella volta Shiho era triste perché non era riuscita a fare amicizia con nessuno dei suoi compagni di classe. Non era compresa da nessuno e veniva presa in giro per il suo aspetto e la sua intelligenza sopra la norma. Akemi per consolarla aveva detto alcune parole che erano diventate, per la scienziata, una sorta di pensiero ricorrente nei momenti in cui si sentiva male, sola o triste “Non importa se gli altri non ti accettano per ciò che sei o ti insultano perché non capiscono quanto tu sia speciale. Fregatene, perché c’è una persona che ti ama più di chiunque altro al mondo e sono io, la tua sorellona! Capito? Anche se non dovesse esserci nessuno a capirti o ad amarti, ci sarò sempre io, che ti voglio bene più di tutti.”

A quel malinconico ricordo, Haibara sorrise e continuava a tenere quel sorriso tutte le volte che si soffermava ad ammirare il tramonto che, anche se per pochi minuti, riportava sempre in vita, Akemi, nel suo cuore a riscaldarlo teneramente.

Passò qualche secondo in più. Ai voltò  le spalle a quel posto e momentaneamente a quei ricordi, senza allontanare un unico pensiero dalla mente “Nessuno mi amerà mai come mi hai amato tu, nee-chan”.


Note finali: Questa OS l'ho pubblicata anche sul sito EFP, sotto il mio profilo Pimpi95.

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mercoledì 25 luglio 2018


Detective Conan, una serie amata da pochi.

Riflessioni sulla serie.


 Quante volte ho sentito dire questa frase “Detective Conan è troppo lungo, non mi piace perché la vera trama procede a rilento e ci sono troppi filler”. Insomma la serie manga (fumetto giapponese) di Conan non piace, soprattutto perché raramente compaiono gli uomini in nero. Eppure molti non considerano quanta importanza abbiano quei capitoli ritenuti da molti “filler”, ma che in realtà non lo sono.
Sfatiamo questo mito!

Secondo me, i filler compaiono, ma sono decisamente pochi e servono, a volte, all’autore per organizzare le idee, evitando di realizzare dei capitoli che potrebbero non essere soddisfacenti o all’altezza della trama. I capitoli dove non è presente l’organizzazione o un possibile collegamento con essa, non sono filler, bensì sono costruiti per necessità da Gosho; in quanto servono ad approfondire i personaggi e le relazioni con i protagonisti. Inoltre, non essendo solo un genere in cui compaiono delitti, ma fatto anche di storie d’amore, è giusto che l’autore si soffermi qualche volta ad evolvere una possibile coppia all'interno della serie cosa che non potrebbe certamente fare all'interno dei capitoli sugli uomini in nero, perché in quelle vicende entrano in gioco l’angoscia, la paura, la strategia per trovare prove contro l’organizzazione, arrivare alla verità.
Gosho studia tutto nei minimi particolari, per questo ogni volta che introduce una saga con gli uomini in nero è sempre avvincente.
L’evoluzione dei personaggi è importante, ma soprattutto il fatto che il protagonista non può certo incontrare membri degli uomini in nero ogni volta che gira un angolo della strada, sarebbe irrealistico e non essendo un romanzo fare giganteschi salti temporali spezzerebbero la serie e tutto potrebbe cambiare anche in peggio. Per esempio la costruzione del personaggio del Dottor Niide prima dell’introduzione di Vermouth, oppure banalmente la cotta di Ai/Shiho Miyano per il calciatore Higo, mostrando a piccole dosi il cambiamento della ragazza e del fatto che forse per la prima volta si è presa una cotta nella sua vita. Anche i campeggi con i Detective boys sono importanti, a mio parere, perché mostrano Conan che conduce una vita parallela alla sua vera vita, quella del liceale Shinichi Kudo, che ha nuovi amici, dei bambini, e di come deve abbassarsi anche lui a fare certe esperienze infantili per non far scoprire la sua reale identità. Insomma è tutto studiato nei dettagli, un po’ anche per far creare una crisi d’identità nel personaggio che si ritrova di punto in bianco a vivere una nuova vita che in fondo non è la sua, sta solo recitando una parte. Ogni caso, ogni saga è un tassello del puzzle e sono tutti pezzi importanti per la composizione del quadro finale.
Forse mi sbaglio, ma io la penso così. Ogni personaggio ha la sua importanza ed è giusto che siano valorizzati tutti allo stesso modo chi più, chi meno. Anche la ripetizione di alcune scene, come il momento in cui Conan deve addormentare Goro per risolvere un caso, oppure che sistematicamente dove va Shinichi ci sia un morto e Gosho, ironizzando con la sua opera, lo fa notare più volte; povero ispettore Megure che è ancora lontano dalla verità, ovvero che Conan sia Shinichi, invischiato in una situazione più grande di quella che sembra. Quella ripetizione di eventi che ricorrono spesso sono probabilmente volti ad uno scopo. Quello di farci ricordare nel tempo quei personaggi, quelle situazioni e la serie in sé che, infatti, resteranno impressi per sempre nella nostra memoria.
Anche se a volte Gosho ci fa incazzare si può dire che abbia, in fondo, creato qualcosa di unico.



                                                                                                                                     - Anna -